15 giugno 2011

Facebook, tag automatico, privacy: analisi e prospettive del più grande social network

Tutto è bello finchè dura. E' ciò che verrebbe da dire riguardo alle grandi imprese, le vittorie, le scalate. Quando si raggiunge l'Olimpo si è destinati a iniziare la discesa, prima o poi. Accade lo stesso nel mondo economico, crudele e meschino, dove conta solo il denaro. L'abbiamo visto con la crisi economica del 2007.

E' recente la notizia che il colosso Facebook ha registrato una diminuzione di utenti record: meno 6 milioni tra Stati Uniti e Canada. Segnali che quì il mercato potrebbe aver raggiunto la saturazione, sarebbe a dire: esauriti gli spazi di espansione.
L'azienda ovviamente sminuisce, imputando ciò alla fine degli studi per molti utenti, e alla conseguente volontà di cancellare dalla rete materiale che potrebbe compromettere la ricerca di un'occupazione.
E proprio questo potrebbe essere uno dei motivi del calo di interesse per Facebook; dopo essersi introdotto nella vita più intima dei suoi utenti, smascherando bravate, amicizie nascoste, infrazioni alla legalità sbandierate in chat, andando insomma oltre il limite, forse molti, messi anche in guardia dai media, preoccupati del fenomeno della violazione della privacy, stanno ripensando al bilancio vantaggi-svantaggi ad avere una vita virtuale su Facebook.

Ma ciò che conta è espandersi e Facebook, secondo molti, ha via via sacrificato un pò di privacy dei suoi utenti (in modo non troppo trasparente), come dimostra l'allarme recentemente lanciato in merito al nuovo servizio di riconoscimento automatico dei volti nelle foto, che tagga gli utenti da solo; basta che l'utente ne dia il permesso. Il problema è che, come è abituato a fare Facebook, il permesso è concesso di default, sta all'utente aggiornato della novità disabilitarlo; manovra alquanto scorretta e probabilmente meritevole di sanzioni da parte delle autorità di difesa della privacy.

Ma ritorniamo indietro. Quando un'azienda non ha solide basi oppure vende prodotti atipici, nasce e cresce, magari anche rapidamente, ma raggiunto l'apice tende inesorabilmente al declino.
Crediamo che in questa categoria rientri anche il settore dei social network. Tali aziende non vendono nulla, ma offrono ricavi basati sul mondo virtuale che è Internet, in particolare ricavi pubblicitari. E se l'idea di base è vincente, crescono il loro business esponenzialmente: Facebook, Myspace, LinkedIn, Twitter per citare i più affermati. Ma prima o poi l'idea perde di efficacia, la novità svanisce, e, soprattutto, nuove idee spuntano all'improvviso e finiscono per succhiare linfa vitale, sottraendo spazi economici. Ne ha fatto recentemente le spese Myspace, costretto a inchinarsi all'agguerrito e più "smart" Facebook, seguito a ruota da Twitter eccetera. E potrebbe toccare anche a Facebook conoscere la regressione, perdere clienti e denari. Dopotutto siamo in un settore in cui non si vendono beni primari, che dolente o nolente il mercato è costretto ad acquistare; ciò conferisce a questo mondo curve di profitto e così anche di perdita molto veloci.
Come dimostra il passato, anche la creatura di Mark Zuckerberg, magari molto lentamente, perderà una parte dei suoi utenti, attirati da nuovi spazi virtuali; sta a Facebook, poi, differenziare l'offerta, espandersi in altri settori tecnologici, acquistare e sviluppare idee innovative, per continuare ad essere vincenti e ottenere profitti.

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